L'occasione di segnalare un articolo del Prof. Sidoti, come sempre stimolante, ricco di riferimenti storici e dati significativi, in qualche modo appassionato, si associa questa volta al piacere di conoscere una nuova Rivista, Dike appunto, bimestrale dell'Eurispes sulla giustizia e la società.
Il periodico - che si presenta con una veste grafica assai agile e gradevole e con un'ambiziosa citazione di Montesquieu in apertura - si propone di costituire "un punto di incontro, di confronto, di elaborazione e di ricerca, senza tesi precostituite" e non v'è dubbio che, data l'autorevolezza di coloro che sono parte del progetto, il panorama culturale del nostro Paese possa considerarsi arricchito di un foro di discussione di livello alto e straordinariamente qualificato.
Tornando al lavoro di Sidoti, che Per Aspera ad Veritatem vanta tra i suoi più preziosi collaboratori, c'è da dire che esso costituisce una riflessione assai approfondita sul tema, assai caro all'Autore, della cultura dell'intelligence, o meglio di una "nuova" cultura dell'intelligence.
Il lettore sa quanto questa Rivista consideri essenziale e strategico il punto in questione, ed è pertanto con grande convinzione che consigliamo di leggere l'excursus documentato di Sidoti, che lo porta a conclusioni ed esemplificazioni talvolta molto personali, non di rado invece largamente condivisibili.
è quest'ultimo il caso, ad esempio, dell'analisi che l'Autore rivolge al dopo guerra fredda, e alla contestuale "esplosione" della domanda di sicurezza, in relazione alla "crescita enorme della vulnerabilità", che viene riferita a grandi temi come il collasso finanziario, il disastro ecologico, l'apocalisse nucleare, la bomba demografica, tipici del mondo globalizzato.
L'espansione della domanda di sicurezza si sviluppa in parallelo, è l'opinione dell'Autore, con la necessità dell'intelligence, evidentemente calata in contesti e problematiche nuove rispetto a un passato così recente ma per molti versi così lontano, immaginata con un ruolo ed una funzione sempre più internazionale.
Non meno interessante è l'opinione di Sidoti in merito alla necessità di tenere ben distinto lo spionaggio dall'intelligence. Mentre il primo "può essere sommariamente definito come un traffico di informazioni riservate", dunque attività "impastata di ambiguità", l'intelligence, "attività di raccolta e valutazione delle informazioni relative alla sicurezza", mira soprattutto "a fare chiarezza contro l'ambiguità, e stabilire una gerarchia di rilevanza e a proporre alternative".
Molta attenzione il professore dedica infine allo specifico della situazione italiana, anche in una prospettiva futura.
E se è vero, come cerca di dimostrare, che il nostro Paese può in questo campo svolgere con dignità il proprio ruolo e la propria funzione, se anche Paesi tradizionalmente ritenuti la "culla" dell'intelligence non sono stati e non sono esenti da problemi e forse talvolta bizzarrie, la sua profonda convinzione è che l'intelligence rifletta "più o meno fedelmente il Paese che la esprime". Pertanto, secondo un assioma apparentemente scontato ma evidentemente ricco di insidie, la crescita della cultura dell'intelligence è speculare alla crescita della cultura istituzionale nel sistema Paese.
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